Ai sensi dell’art. 5 del codice dei delitti e delle pene del 3 Brumaio dell’anno IV, “l’azione pubblica ha per oggetto di punire le violazioni compiute all’ordine pubblico. Essa appartiene essenzialmente al popolo. Essa è esercitata in suo nome da funzionari specialmente destinati a questo scopo1. “Dalla lettura della norma in parola si evince chiaramente come lo scopo principe del diritto penale sia, innanzitutto, il diritto di punire e, per l’effetto e senza dubbio alcuno, l’estrinsecazione di una delle forme più forti ed a tratti quasi violente della sovranità. Non solo, la norma indica chiaramente come la sovranità medesima non appartenga a coloro che hanno per missione di perseguire e reprimere i delitti e i crimini, e come questi possano agire soltanto nello stretto quadro di tale mandato, fornendo il generale messaggio che l’azione penale è indisponibile e incedibile2.
In questa prospettiva, l’idea che una persona possa evitare l’azione penale o liberarsi dall’azione giudiziale, accordandosi con i soggetti che, in nome della società, hanno l’incarico di “punire”, non può che sorprendere, o addirittura lasciare perplessi. Ad ogni buon conto, nonostante l’evoluzione del diritto penale abbia portato lo stesso a non avere quale unico scopo quello di reprimere le condotte delittuose, ma anche volgere lo sguardo alle libertà individuali, alla presunzione di innocenza e al reinserimento dei condannati nella società, la soluzione in parole può far nascere dubbi e perplessità secondo un doppio punto di vista: quello di una pena senza colpevolezza e quello di una colpevolezza senza ammissione3.
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La convenzione giudiziaria di interesse pubblico (CJIP): aspettando la transazione penale